L’opera si presenta come una scultura monolitica levigata ma irregolare, La superficie scura e opaca diventa un oggetto quasi astratto, restituendo una sensazione tattile di silenzio e riflessione. Non ci sono decorazioni, è una presenza muta, densa, assoluta.
STØNEE è una scultura concettuale che incarna il peso della vita inteso come somma di esperienze non in senso metaforico, ma tangibile. Il sasso, simbolo ancestrale di permanenza e resistenza, si fa portavoce della fatica esistenziale che ciascuno porta con sé. Il colore nero, profondo e privo di distrazioni visive, rafforza l’idea della materia come contenitore di pensieri non detti, di emozioni compresse, di esperienze sedimentate; nonostante la sua compattezza emotiva, l’opera non vuole schiacciare, essa razionalizza. L’oggetto fisico, così essenziale, delimita e definisce il dolore, lo rende visibile e quindi gestibile. Il sasso diventa metafora: un oggetto che, seppure inerte, racchiude un’energia compressa, gestita e contenuta dalla sua forma finita. Toccare il sasso, osservarlo, è un atto di consapevolezza: la vita pesa, ma può essere contenuta, elaborata, compresa.
STØNEE non racconta una storia, ma la condensa. È un invito a riconoscere il fardello interiore senza negarlo, a dargli una forma, un confine. In questo gesto, l’arte non consola, ma accompagna: trasforma l’indistinto in oggetto, l’angoscia in pietra, il caos in materia. L’inserimento dell’oggetto in uno spazio neutro, bianco o urbano, trasforma la percezione del fruitore: il pubblico è invitato a riflettere sul proprio “peso”
The work appears as a monolithic sculpture polished, yet irregular. Its dark, matte surface becomes an almost abstract object, evoking a tactile sense of silence and reflection.
There are no decorations; it is a mute, dense, absolute presence.
STØNEE is a conceptual sculpture that embodies the weight of life not as a metaphor, but as a tangible sum of experiences. The stone, an ancestral symbol of permanence and resilience, becomes a spokesperson for the existential burden each of us carries.
The black color, deep and free of visual distractions, reinforces the idea of matter as a container for unspoken thoughts, compressed emotions, and sedimented experiences. Despite its emotional density, the work does not aim to overwhelm it rationalizes.
This physical object, so essential in form, outlines and defines pain, making it visible and therefore manageable. The stone becomes a metaphor: an object that, though inert, holds compressed energy managed and contained by its finite shape. To touch the stone, to observe it, is an act of awareness: life is heavy, but it can be contained, processed, understood.
STØNEE does not tell a story it condenses one. It is an invitation to acknowledge the inner burden without denying it, to give it shape and boundaries. In this gesture, art does not console it accompanies. It transforms the indistinct into an object, anguish into stone, chaos into matter. Placing the object in a neutral space white or urban alters the viewer’s perception: the audience is invited to reflect on their own “weight.”